Dal Notiziario della Comunità del 2002
Tutto ebbe inizio nella notte dei tempi.
Quando la terra era abitata da creature fantastiche, da esseri immondi, da DRAGHI e giganti, da demoni e fate, quando il sogno e la realtà si confondevano in un solo presente e il mistero regnava sovrano, un uomo diede vita alla legenda.
Narrero' la storia di un cavaliere, un solitario, la spada la sua compagna, la giustizia la sua fede, girava il mondo alla ricerca di se stesso, dell'unica cosa che a parer suo desse una giusta dimensione all'esistenza, in un mondo che come allora non aveva nè legge, nè giustizia, nè pace.
Compagno di viaggio, e di mille avventure era il suo destriero, un purosangue dal manto candido come una vergine donzella ai piedi di un altare.
E fu' così che grazie al suo animo nobile si trovo' nella nostra terra, Volturara Irpina.
Si racconta che a quei tempi nascosto nel grembo del monte Costa, la reincarnazione del male,
avesse preso forma sotto le sembianze di un DRAGO.
I pochi superstiti che ebbero la fortuna di sopravvivere alla furia del mostro raccontavano di un enorme drago con tre teste e un solo occhio.
Molti uomini di coraggio ebbero la presunzione di affrontarlo, ma di loro non si seppe piu' nulla.
Correva l'anno del Signore 764 quando i primi massacri divennero cosa ricorrente , quando intere famiglie, interi paesi venivano saccheggiati e dati alle fiamme , quando la vita si riduceva alla sola sopravvivenza : animali con sembianze di esseri umani invasero l'Italia.Tutto accadeva nel momento in cui il sole stanco cedeva il passo alle stelle e le membra intorpidite soccombevano al sonno, un boato squarciava il silenzio, migliaia di luci in movimento all'orizzonte, i demoni dalle lunghe corna mietevano un' altra vittima.
Fra le ultime file di quel enorme esercito, nascosto da sguardi indiscreti, un sagoma alta più di dieci uomini veniva trasportata a fatica , nell'aria attorno ad essa si levava uno stomachevole fetore di zolfo e improvvisi lampiori illuminavano tutto attorno,niente e nessuno osava avvicinarsi pur sapendola incatenata . Solo un vecchio chino sui suoi anni e sulla sua condanna, perchè da giovane aveva perso la vista in battaglia, armato di un lungo bastone sul cui capo erano infilzate resti di carne fossero di uomini o di animali ,non la temeva o forse stanco di qella vita inutile cercava un modo per raggiungere la valle dei dannati in attesa di Caronte.
Celato dietro quel mistero vi era l'unica arma che avrebbe mai potuto difendere l'enorme tesoro accumulato da tanti spargimenti di sangue.
I Visigoti i peggiori fra i barbari avevano catturato e trasportato dalle grandi caverne del nord il drago.
Attraversarono tante terre e tante altre ne distrussero alla ricerca di un buon nascondiglio ove depositare tanta ricchezza ;c'è chi parlava di gemme preziose, di corone, di ori e di argenti di brillanti ,rubini e smeraldi, perle , diamanti, un valore che oggi può definirsi inestimabile, finchè non giunsero nella nostra valle.
Imprigionarono l'animale , imbragandolo con catene ,in una grotta tanto tetra e angusta che molti paesani erano convinti che quel luogo fosse la porta che divideva il nostro mondo da quello di lucifero.
Ma quella che fino ad allora era stata solo una credenza popolare, ben presto si trasformò in cruda realtà.
I piu' fortunati di coloro che popolavano quelle terre divennero shiavi, mentre la massa avrebbe saziato l'appetito di quella creatura.
Brandelli di carne umana e di ossa cospargevano l'interno della grotta , non rimase altro dei nostri padri e dei loro figli .
Il drago ogni giorno divorava due uomini e due animali di grossa taglia.
Il tempo trascorreva inesorabile, e il destino che la sorte aveva riservato, non dava la forza e il coraggio per ribbellarsi ad una fine cosi' cruenta.
L'orrore calava sul paese come l'alito del drago che avvolgeva tutto in una nebbia fitta e tenebrosa.
Non vi era via di scampo prima o poi tutti sarebbero morti.
Era una mattina come tante altre, quando nei primi giorni di maggio una figura sconosciuta fece la sua comparsa, un uomo dall'aspetto fiero e nobile, alto più di due metri dai capelli color oro, cavalcava quella terra oramai maledetta.
L'enorme mantello che lo avvolgeva nascondeva una corazza ,al suo fianco la spada era depositata in segno di pace, lo scudo, con sopra stampate le proprie effigia rapresentanti; tre colli sul cui centro vi era una quercia e un corvo, era posto a sua difesa.
Il passo del suo destriero era lento e pesante a dimostar un enorme fatica, chissà da quale terra giungeva.
Si fermò nei pressi di una fonte a ritemprar le membra.
Fu allora, che chinatosi per saziare la sete, vide una fanciulla nascosta nel suo scialle intenta a dar sfogo alla propria tristezza, la fissò per alcuni secondi, strappò un pezzo del suo mantello e glielo porse ,la fanciulla sobbalzò, negli occhi impressa la paura, ebbe l'istinto di fuggire ma le gambe barcollanti si irrigidirono non riuscendo ad indietreggiare nemmeno di un passo, il cavaliere allungò la mano nella quale stringeva quel pezzo di stoffa e le asciugò le lacrime.
Non capiva, uno straniero le aveva dimostrato gentilezza, come poteva uno sconosciuto aver avuto carità d'animo, lei che nella sua giovane vita aveva conosciuto solo orrore e morte per mano di uomini venuti da lontano.
Chi era costui, non diede nessuna risposta a quella domanda, e si gettò fra le sue braccia così forti e vigorose che per la prima volta si sentì al sicuro.
Passarono insieme le poche ore che portavano al tramonto, lei gli parlò del drago e delle sciagure della sua gente, di come non riuscisse a spiegare il motivo per il quale le vittime designate al sacrificio poste libere dinanzi
all' uscio della grotta invece di scappare si avviassero di propria volontà, inermi fra le sue fauci, attratte come fà la falena dinanzi ai fiochi bagliori delle lanterne accese.
Il mattino seguente il cavaliere si presento' nei pressi della caverna impugnando una fune che fissò ad un albero fra i più robusti,la cinse a se e si addentrò.
Le tenebre più cupe dimoravano nel suo grembo, i suoi occhi scrutavano il nulla e nel nulla si perdevano, il cavaliere simile più a un colosso di pietra che a un uomo ,stava con l'espressione concentrata,ma triste .I suoi occhi azzurri si volgevano stupiti ora verso l'uscita, ora dinansi a sè da dove aspettava l'apparizione del suo carnefice, quand'ecco d'improvviso un enorme occhio si aprì d'inanzi , non vedeva,non udiva nulla, aveva persino perduto la forza di pensare, e le sue labbra ripetevano come in delirio:Mio DIO !CREDO! IO CREDO!, quello sguardo entro' nella sua testa distrusse la sua volontà impedendo ogni sorta di opposizione, una forza a lui sconosciuta lo spingeva ad una tragica fine.
Quando tutto oramai sembrava perduto il suo cammino d'improvviso si arrestò.
La fune si era tesa e il suo avanzare era stato bruscamente interrotto.
L'ira del drago prese il sopravvento, le sue bocche iniziarono a sputare lingue di fuoco all'impazzata, mentre il suo ruggito rimbombava fra quelle mura facendo tremare la montagna. In tutto questo il suo sguardo aveva lasciato la preda che ridestatasi scappo' via.
Cos'era successo? L'occhio quell' enorme occhio, il cavaliere non ricordava null'altro.
La luna si affacciava nel cielo e assorto nei suoi pensieri egli fissava quel rosso intenso trasportato dall'orizzonte.
Era pronto, tutto appariva chiaro, si ripresentò nei pressi della caverna, spense lo sguardo riportando alla mente i ricordi più cari , porto' la spada al petto, poi la baciò.
Con passo fiero e spavaldo e con gli occhi ancora chiusi, partì diritto verso il suo nemico.
Il drago in quel momento era assorto a sbranare la carcassa di una grossa mucca, il cavaliere era talmente vicino da avvertire il suo respiro, balzò incontro alla belva inferocita, la quale accortasi dell'intruso rizzò in piedi, le gambe erano enormi come colonne, sul suo corpo squamoso si ergevano le tre teste ,solo una di esse possedeva la vista, d'istinto l'uomo lanciò verso la creatura la spada che la evitò chinandosi in avanti.
In quel momento propizio lo afferrò per le corna , i suoi piedi affondarono nella sabbia fino alle caviglie,il dorso era curvo come un arco teso, la testa quasi nascosta fra le spalle, i muscoli delle braccia contratti come se la pelle stesse per scoppiare.
Ma il drago, era inchiodato.
L'uomo e la belva erano immobili, ma l'apparente immobilità rivelava la dura immane lotta di due forze nemiche.
Dun tratto con un fulmineo colpo di coda, il drago riuscì a sfuggire a quella presa mortale mettendo a terra il cavaliere.
L' armatura, a difesa del suo corpo, lo aveva immobilizzato tanto era divenuta pesante a causa di quello sforzo sovrumano , che lo aveva spossato, il respiro era affannoso quasi ansimante, si sentì soffocare.
L' animale con uno scatto felino afferrò con le tre teste le gambe, lo stomaco e il dorso del cavaliere, sollevandolo da terra.
Le tre bocche, come tenaglie, stritolavano l'esile corazza , e i denti più simili a pugnali cercavano di trapassarla da parte a parte.
Non vi era scampo, un tragico destino stava per compiersi.
Solo un braccio sfuggì a quella presa mortale,il cavaliere strinse la mano a pugno, e con la forza della disperazione cominciò a colpire la testa con un solo occhio, una volta, due, tre e poi ancora, sembrava impazzito colpiva, colpiva, senza un attimo di tregua.
Sotto quei colpi incessati la creatura mollò la presa,
l'uomo cadde a terra e ruzzolò per un paio di metri andando a sbattere contro la parete di roccie là dove si trovava la sua spada, il suo volto e le tempia erano di colore violaceo , le gambe non riuscivano piu' a tenere il corpo, quando provò ad alzarsi .
Il drago capì allora che dinansi a sè accasciato su se stesso si trovava solo un boccone da sbranare.
Con tutto il suo impeto si lanciò sulla preda, fù allora che con un rapido movimento, il cavaliere tirò indietro la lunga spada appoggiando l'inpugnatura
nel punto che faceva da angolo fra la parete e la sabbia su cui sedeva, la lama si conficcò nell'occhio della creatura attaversò la testa , poi il petto fino a raggiungere il cuore.
L'enorme animale si accasciò al suolo.
Era morto.
Ia sua carcassa si dileguò e la terra la risucchiò a sè.
Tutto era finito, lasciò cadere la spada e il corpo oramai stremato, non ebbe nemmeno il tempo di riprender fiato che la sua attenzione fù rapita da degli enormi bauli posti l'uno sù l'altro, con le ultime forze rimaste li aprì, e con sua enorme sorpresa, si trovò fra le mani gioielli,
monete e quant'altro di un tesoro potesse far parte.
Di tutte quelle ricchezze ne fece dono agli abitanti del posto, lasciò solo un piccolo forziere nella grotta, per onorare la memoria di quel nemico strappato alla sua terra e posto a difesa del ingordigia umana.
Di quel eroe, quel cavaliere temerario non si seppe più nulla com'era apparso così andò via,
in silenzio, in una notte come tante altre.
Di lui non rimase altro che la sua leggenda impressa nel suo nome:
GESIO
La conoscenza insegna che in ogni storia, in ogni favola o leggenda che sia c'è sempre un fondo di verità ,quell'anello debole che collega la più fervida fantasia alla più fantastica delle realtà.
Ancor oggi nel luogo dove si dice venne ucciso il drago vi sono le voragini create dalle tre teste alle quali avvicinandosi si può udire lo scorrere impetuoso del suo sangue, e nella caverna sottostante ad esse rimbomba il suo atroce ruggito: l'eco della "BOCCA del DRAGONE".